Una voce flebile quella di Siyumali Michelle Rupasinghe, 25 anni, ci parla dell’associazione Srilankesi Uniti di Messina. Arrivata in Italia all’età di 6 anni, dopo una storia di ricongiungimenti familiari iniziata nei primi anni ’90, ha vissuto a Messina fino a quando si è dovuta trasferire a Milano per studiare infermieristica, qui vive con il marito.
Lo Sri lanka, meno noto come Repubblica Democratica Socialista dello Sri Lanka, è un’ isola dell’Oceano indiano ricca di foreste pluviali, spiagge bianche e rovine storiche di antiche civiltà. Si proclama indipendente nel 1948, anno della sua prima Costituzione ma anche principio dei dissidi e del deficit lasciati dalla politica coloniale britannica.
Le chiedo com’è in questo momento la situazione politica del suo paese. Dopo quasi 30 anni di conflitto tra le etnie tamil e cingalese, il paese è impegnato in un delicato processo di riconciliazione tra il governo e l’etnia minoritaria, i tamil, di cui si sta occupando anche il Consiglio per i diritti umani dell’ONU (UNHCR). “La guerra è finita – dice Michelle – ma l’anno scorso c’è stato un attentato da parte del gruppo estremista che ha sconvolto tutti”. In realtà gli attentati che hanno colpito alcune chiese il giorno della Pasqua cristiana causando circa 250 morti, non sono stati rivendicati ma hanno insinuato di nuovo dubbi e ostilità tra la gente. “In Sri lanka convivono tranquillamente – ci dice fiera – quattro confessioni, la maggior parte, circa il 70%, sono buddisti poi ci sono induisti, cattolici e musulmani, gli estremisti sono quelli che causano problemi”.
Gli srilankesi sono tra le comunità più popolose nel nostro Paese, tra i cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti. Al primo posto, si legge nel Rapporto annuale del 2018 del Ministero del Lavoro, si colloca la comunità marocchina, cui seguono quelle albanese, cinese e ucraina.
Perché venite proprio in Italia? L’Italia è sempre stata molto popolare per noi, conosciamo le sue bellezze e il suo patrimonio culturale. Adesso alcuni politici danneggiano questa popolarità e molti srilankesi decidono di non mandare più i figli a studiare qui. Lo stesso sta succedendo con gli Stati Uniti, dove c’è Trump. A me dispiace perché non è colpa degli italiani.
Michelle è figlia di Roshan Santhiyago e Geethani Rupasinghe, tra i fondatori dell’associazione srilankesi uniti nel 2012.“L’associazione è nata nel 2012 a Messina e non ha altre sedi in Italia, per le questioni più grandi ci rivolgiamo alla nostra ambasciata”.
Come nasce l’esigenza di associarsi? La mia comunità si rivolge prevalentemente agli uffici (CAF, Poste) per avere informazioni o fare pratiche e riceve il servizio richiesto ma manca la parte umana dell’assistenza. L’associazione nasce proprio per questo, per dare voce a chi chiede aiuto a chi ha bisogno di qualcosa in più dell’informazione. La mia esperienza a Milano mi ha mostrato che in Sicilia spesso si trova anche il lato umano insieme al servizio, cosa più difficile nel Nord Italia.
Che attività promuovete in città? Sentiamo la necessità di tenere in vita le nostre radici e in questi anni quindi sono state organizzate iniziative, anche sportive, e il capodanno srilankese. Attività che rappresentano opportunità per incontrarsi e coltivare la nostra identità, anche lontano da casa. I miei genitori hanno dato a me e alle mie sorelle la libertà di aprirci a nuove culture ma senza dimenticare la nostra.
Avete un luogo di incontro a Messina? Prima ci riunivamo nella Chiesa di Santa Maria Gesù. Negli ultimi anni tanti connazionali sono andati via da qui, alcuni sono ritornati nel loro paese e non si sono più organizzate tante attività. Mio padre che è il presidente dell’associazione è comunque un punto di riferimento per la comunità, chi ha bisogno lo trova nel negozio di alimentari asiatici della mia famiglia in Via Catania.
Ci sono momenti di incontro tra la vostra comunità e quella locale? Si, ce ne sono parecchie. Ci capita di partecipare ad attività organizzate da altre associazioni, ad esempio, il gruppo Ritmo Live voluto da una insegnante di musica, con il sostegno economico del Rotary Club, coinvolge anche altre culture. Ogni anno c’è un evento che si organizza in occasione della cresima, alla presenza del vescovo di Messina, in cui suoniamo insieme ad un gruppo filippino: c’è una grande festa.
Il Rapporto sulla comunità srilankese dice che il Mezzogiorno è scelto dal 26,5% dei cittadini srilankesi. In particolare, la concentrazione è in Campania e nella Regione Sicilia. Come vi trovate? L’Italia è un paese accogliente e la Sicilia ancora di più. La maggior parte dei giovani srilankesi che vivono a Messina non hanno voglia di andare via e se lo fanno è solo perché non trovano lavoro. Io sono andata a Milano perché non sono riuscita ad entrare nella facoltà che mi piaceva qui. La Sicilia non mi ha mai fatto sentire “straniera”, a scuola mi sono sentita sempre una di loro, credo di avere più amici italiani che srilankesi.
Come avete vissuto l’emergenza da covid-19? Io ero a Milano con mio marito e ho deciso di non rientrare a casa anche se lui ha perso il lavoro. So che a Messina ci sono stati diversi aiuti per le persone in difficoltà o che avevano perso il lavoro (bonus spesa e iniziative da parte delle chiese), l’associazione non ha potuto lanciare alcuna attività solidale purtroppo ma mio padre ha cercato sostenere le persone più bisognose indirizzandole lì dove potevano essere aiutate, talvolta donando del cibo. Avendo un’alimentari per noi è stato più semplice procurare del cibo quindi abbiamo cercato di aiutare chi stava peggio di noi.
Vuoi commentare il decreto rilancio che ha riguardato anche la cosiddetta regolarizzazione degli immigrati? Io penso che si poteva fare di meglio. Riguarda solo alcuni settori, tra cui quello delle badanti, interessa maggiormente la popolazione femminile. Quindi le famiglie in cui lavora solo il marito magari con un visto a breve termine non può essere regolarizzato, questo significa ad esempio che non può tornare una volta l’anno a casa perché non potrebbe più tornare indietro. Tantissimi srilankesi lavorano nella ristorazione, e questo settore è stato lasciato fuori.
Secondo te come si può rafforzare la possibilità di integrazione in Italia? Se mi posso permettere, credo che abbiamo bisogno di un’integrazione lavorativa, avere dei contratti regolari sarebbe già un grande passo. Una persona straniera, costretta a lavorare in nero per mantenere la famiglia, non può usufruire dei diritti dei lavoratori, i diritti che stanno scritti nella Costituzione.
Erika Bucca