Il Garante per l’infanzia e l’adolescenza del Comune di Palermo Lino D’Andrea è da anni impegnato nel campo dell’infanzia e dell’adolescenza dei minori migranti. Un approccio, il suo, che tende a superare la logica dei progetti e mira alla creazione di un modello promotore di una vera e propria trasformazione sociale.
«Non ragioniamo tanto in termini di progetti perché siamo convinti che bisogna pensare a un modello di intervento. Qui a Palermo siamo stati i primi a sperimentare un modello mettendolo a sistema. Ma il cammino è ancora lungo, c’è un nuovo modello di accoglienza e la città si dovrebbe attrezzare partendo dalle cose concrete come valorizzare e dare opportunità pratiche e immediate ai ragazzi che arrivano a Palermo».
D’Andrea parla di un processo trasformativo che valorizzando il singolo valorizzi tutta la città: se lavorare per progetti prevede azioni conclusive e limitate nel tempo, lavorare su un modello prevede un vero e proprio cambiamento sociale. È del luglio 2018 la pubblicazione ad opera del Garante di “Mosaico Palermo – la presa in carico delle ragazze” in cui si spiega: “Per realizzare le condizioni di sviluppo e di crescita di tutti i ragazzi e le ragazze della città di Palermo si è definita una Visione d’intervento basata esclusivamente sulla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (…). La Visione della proposta del “Progetto educativo della Città” viene costruita armonizzando le aree che contengono i singoli diritti, mettendo al centro i ragazzi e le ragazze come soggetti di diritto e attivando, con loro e con tutti i cittadini “processi partecipati” che hanno la funzione di messa in rete di tutte le risorse presenti sui territori e di revisione dei contesti, anche dal punto di vista urbanistico e amministrativo”.
Un intervento, spiega il Garante che si ponga in linea con le tante potenzialità e talenti che hanno i ragazzi migranti, già al loro arrivo a Palermo.
«La prima cosa che vogliono fare i ragazzi che arrivano qui è lavorare. Ma in una città dove c’è il 45% di disoccupazione giovanile, trovare lavoro è un problema. Dunque dobbiamo ripensare all’accoglienza creando a rapporti con i luoghi, con le persone, con le attività produttive: realizzando rapporti mirati, non improvvisati. Inoltre è necessario lavorare sui desideri dei ragazzi e mettere in campo dei processi educativi in cui il saper fare diventa elemento di sostanza. Se oggi con i cellulari e i computer i saperi sono a portata di mano, il saper fare non lo è. Allora dobbiamo preparare le nuove generazioni a questo: saper mettere una vite, un chiodo, saper stare insieme alle persone, tutto questo il computer non lo fa. I ragazzi migranti arrivano con bassa scolarità ma con alte potenzialità: molti hanno fatto i meccanici, i sarti, i cuochi. Vanno rivalutate le competenze, bisogna garantirgli un titolo di studio e insieme valorizzare le competenze già acquisite».