A Palermo nessuno è straniero: l’impresa sociale Kirmal

A Palermo nessuno è straniero: l’impresa sociale Kirmal

Kirmal è un’impresa sociale multiculturale che opera nel settore del turismo e della ristorazione. È composta da 6 ragazzi, provenienti da diverse parti del mondo: dal Vietnam all’Egitto, dalla Costa d’Avorio al Gambia, fino a Palermo.

Si tratta di un caso esemplare di business sociale multiculturale che applica modelli virtuosi di integrazione e inclusione socio-lavorativa.

Kirmal nasce infatti all’interno del progetto “Voci del Verbo Viaggiare – Accoglienza Mediterranea”, selezionato da Fondazione con il Sud nell’ambito del bando “Iniziativa Immigrazione”. L’Accoglienza mediterranea è il claim del progetto, ma è anche il brand attraverso il quale si è voluta rappresentare la città in cui il nuovo modello di impresa sociale acquista un significato innovativo in continuità con una vocazione identitaria: a Palermo nessuno è straniero.

Avviato alla fine del 2018, dopo una lunga fase iniziale di selezione e scouting, i percorsi formativi (laboratori linguistici, marketing aziendale, corsi professionalizzanti e tirocini lavorativi) hanno visto impegnati circa 30 aspiranti imprenditori. Al termine del percorso formativo si è arrivati all’individuazione di un team che ha costituito la start up Kirmal, oggi in via di consolidamento come impresa sociale.

Raccontare di Kirmal vuol dire anche raccontare di Palermo, dei suoi cambiamenti e della sua anima storicamente multiculturale, meticcia, accogliente.

Abbiamo incontrato il suo presidente Kirolos Bebawy, 22 anni, originario dell’Egitto.

Che vuol dire Kirmal?

«Kirmal significa molte cose. È innanzitutto l’acronimo dei nostri nomi: Kirolos Kamil Zlaher Bebawy, Ibrahim Deme, Riccardo Pizzuto, Mustapha Jarjou, Ameth Kah, Thi Tung Lam Dinh.

Ma è anche qualcosa di più importante: vuol dire per in libanese. E questo sintetizza l’idea della nostra impresa: per Palermo, per generare altri posti di lavoro, per creare bellezza, per narrare, per un’accoglienza innovativa che si basi sull’incontro tra persone e culture».

Vi siete conosciuti all’interno del progetto “Voci del Verbo Viaggiare – Accoglienza Mediterranea”, che cosa significa per voi questo progetto?

«È una grandissima opportunità ma anche un modo nuovo di vedere l’integrazione. Non è un’iniziativa rivolta solo a africani o migranti, ma un’iniziativa che coinvolge i giovani di tutto il mondo: dall’interazione con tante culture nasce la nostra ricchezza. Una ricchezza che si manifesta per esempio nei piatti che cuciniamo, nelle storie che raccontiamo. E che vuole produrre sviluppo».

Proprio le storie: prestate una grande attenzione alla narrazione…

«Certo e lo abbiamo fatto attraverso la scrittura e il teatro. Le storie sono state fondamentali anche durante il nostro percorso formativo. E proprio un anno fa a ottobre abbiamo organizzato la cena narrativa. Abbiamo cucinato tutti insieme piatti tipici di diversi paesi, abbiamo mostrato commistioni, ci siamo uniti attraverso l’udito, la vista, il palato. Raccontavamo storie celebri ma anche storie personali. Un evento che ha visto la partecipazione di quasi un centinaio di persone e che per il successo ottenuto è andato oltre le nostre aspettative».

Poi è arrivato il lockdown, ma voi non vi siete fermati. Insieme a Cantiere Cucina, avete prodotto i pasti distribuiti ogni giorno all’interno del progetto “Noce Comunità Solidale – Aiuti alimentari alle famiglie del quartiere Noce di Palermo”, avviato da CRE.ZI. PLUS, Centro Diaconale “La Noce” e CLAC per aiutare le famiglie colpite dalle conseguenze sociali della pandemia. Un’iniziativa sostenuta da Fondazione Sicilia. Che ricordi hai di quei giorni?

«Siano entrati in contatto con il Centro Diaconale La Noce, Istituto Valdese e utilizzando la loro grande cucina abbiamo iniziato a preparare pasti per la gente della Noce che non poteva permetterseli. Facevamo la spesa, cucinavamo -più di 900 pasti- e poi l’Istituto Valdese che ha un forte contatto con le famiglie del quartiere si occupava della distribuzione. In un momento critico di fame davamo cibo alle persone. E questo per noi è stato importante, siamo contrari al concetto di pietà, l’abbiamo fatto con l’idea che noi siamo stati accolti da Palermo e adesso volevamo restituire a Palermo. Era anche in quel caso un mettere in comune le forze, ed era bello perché ognuno faceva qualcosa e imparava dagli altri. Sentivo un’atmosfera simile a quella di casa, in una grande cucina dove si cucina ma intanto ci si conosce. Anche in quel caso abbiamo lavorato sulle storie, io ho lavorato su una storia personale legata proprio alla fame e alla sua soddisfazione».

Adesso a cosa state lavorando?

«Abbiamo ripreso le fila del nostro progetto e stiamo collaborando con Cre.Zi. Plus, con l’Ecomuseo del Mare, con Next e Wonderfull Italy. Stiamo conducendo le visite lungo i luoghi dell’integrazione a Palermo all’interno del festival Le vie dei tesori. Palermo è la città della cultura, delle culture e noi vogliamo farne parte e farla crescere».

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